Reati contro la persona
Sussistenza del reato di cui all’art. 612 bis c.p. e non del reato meno grave di cui all’art. 660 c.p. e profili risarcitori
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L’imputazione ex art. 612 bis c.p. non può essere derubricata e ricondotta sotto la meno grave fattispecie di cui all’art. 660 c.p., laddove le condotte poste in essere siano tali e tanto gravi da essere oggettivamente idonee a creare inquietudine ed effetti destabilizzanti nell’animo di chicchessia, finendo per creare un grave e perdurante stato di ansia nella vittima.
Sotto il profilo risarcitorio, si specifica che “il reato di stalking, se non sempre produce lesioni fisiche, determina comunque e soprattutto danni psicologici, quali ansia, paura, depressione e shock, che sono reazioni patologiche rientranti nella definizione penale di malattia”.
Motiva la sentenza in esame che, nel caso concreto, “l’azione intimidatrice più volte manifestata dall’uomo - persino con esasperate minacce di morte alla donna - collegata alla sua personalità violenta, prepotente ed irascibile, alla disordinata condotta di vita ed alla incontrollabile pericolosità dovuta alla nota propensione ad abusare nell’ingestione di alcolici, culminava in una serie incessante di telefonate nel corso delle quali non si limitava a molestare la p.o., ma spesso ricorreva a gravi minacce pur di imporre la sua volontà su quest’ultima, finendo così per terrorizzare e creare un perdurante stato di ansia nella vittima.
Posto che molestare significa alterare in modo fastidioso o inopportuno l’equilibrio psichico di una persona normale, nel caso di specie plurimi ed inquietanti erano gli episodi di molestia anche grave […] I comportamenti dell’imputato sono, d’altra parte, oggettivamente idonei – per le prescritte modalità pervasive e sistematiche, contestualizzate alla personalità dei soggetti coinvolti e ai motivi della condotta – a creare inquietudine ed effetti destabilizzanti nell’animo di chicchessia”.
Art. 572 C.P.- insufficienza di prova – assoluzione
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Non può essere condannato l’imputato per il reato di maltrattamenti se dalle dichiarazioni della p.o. non è possibile delineare, oltre ad una frequente conflittualità tra i conviventi, una condotta abituale volontariamente improntata alla vessazione ed alla mortificazione della compagna.
Concorso tra il reato di cui all’art. 572 C.P. ed il reato di cui all’art. 609 bis C.P.
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Il Tribunale di Novara in composizione collegiale, in procedimento ove l’imputato è chiamato a rispondere di diversi reati perpetrati nel contesto familiare (maltrattamenti, lesioni e violenza sessuale), chiarisce come sia possibile il concorso tra il reato di cui all’art. 609 bis C.P. e quello di cui all’art. 572 C.P. tutte le volte in cui le reiterate condotte di abuso sessuale, oltre a cagionare sofferenze psichiche alla vittima, ledano anche la sua libertà di autodeterminazione in materia sessuale, potendosi configurare l’assorbimento esclusivamente nel caso in cui vi sia piena coincidenza tra le due condotte, ovvero quando il delitto di maltrattamenti sia consistito nella mera reiterazione degli atti di violenza sessuale.
Reati di violenza sessuale su minori – valutazione delle dichiarazioni rese in indagini preliminari dal minore – linee guida indicate dalla Carta di Noto – rilevanza.
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Con la sentenza in oggetto, di cui si produce un estratto, il Tribunale di Novara affronta l’affascinante e delicata tematica della valutazione delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari dal minore presunta vittima di abusi: molto importante notare che il Tribunale evidenzia la massima utilità, allo scopo, delle linee guida poste dalla Carta di Noto, pur ritenuti “non vincolanti” da alcuni recenti arresti della Suprema Corte.
Art. 570 II comma n. 2 c.p. – inadempimento del versamento del mantenimento per i minori – mezzi di sussistenza – incapienza dell’obbligato.
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In tema di mancato versamento del mantenimento per i minori, il cui stato di bisogno si presume, lo stato di incapienza patrimoniale tale da impedire l’apprestamento dei mezzi di sussistenza per i figli minori ha natura di causa di giustificazione. Come tale, è onere dell’imputato la prova rigorosa delle proprie condizioni precarie e dell’impossibilità dell’adempimento.
Reato di maltrattamenti in famiglia – requisiti – elemento oggettivo e soggettivo
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Ai fini dell’integrazione dell’elemento oggettivo della fattispecie di cui all'art 572 c.p. è sufficiente il compimento di più atti, delittuosi o meno, a carattere commissivo od omissivo (trattandosi di reato “a forma libera”), di natura vessatoria, che determinano sofferenze fisiche o morali, intese queste ultime anche come privazioni, umiliazioni e gli atti di disprezzo e di offesa della dignità, realizzati in momenti successivi (anche alternati a periodi di normalità), senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo sufficiente la loro ripetizione, anche se per un limitato periodo di tempo (cfr., Cass. pen., sez. VI, 8.10.2013 n. 44700; Cass. pen., sez. VI, 9.5.2013 n. 34551; Cass. pen., sez. VI, 7.5.2013 n. 23829; Cass. pen., sez. VI, 19.6.2012 n. 25183; vedi pure, Cass. pen., sez. VI, 31.5.2012 n. 34480, sulla configurabilità del reato allorché si realizzi un minimo di condotte collegate da un nesso di abitualità).
Quanto all’elemento soggettivo del reato, è sufficiente l’inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatrice che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si vada ‘progressivamente’ realizzando e confermando, in modo che il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in un’attività illecita, posta in essere altre volte. Tali singole sopraffazioni, realizzate in momenti successivi, risultano collegate da un nesso di abitualità e avvinte nel loro svolgimento dall’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica o il patrimonio morale della vittima (cfr., sul c.d. dolo programmato, inteso anche come consapevolezza dell’agente di persistere nell’attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, che riveli, attraverso l’accettazione dei singoli episodi, un’inclinazione della volontà a maltrattare la vittima, Cass. pen., sez. VI, 14.4.2011 n. 17049).
Molestia – Effetti della condotta nella altrui sfera privata – Irrilevanza delle ragioni della condotta molesta quando le modalità siano insopportabili
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Il reato di molestia di cui al 660 cp deve ritenersi integrato ogniqualvolta una condotta sia oggettivamente idonea ad interferire in maniera fastidiosa o inopportuna nella altrui vita privata o di relazione, con i caratteri di una invadenza arrogante e persistente (petulanza) o per motivi parimenti riprovevoli e comunque dagli effetti non graditi, anche in assenza di abitualità, purché l'azione sia caratterizzata da un agire pressante e indiscreto. Le pulsioni o le ragioni che hanno determinato l’agente all’azione non assumono alcun rilievo, sussistendo il reato anche quando la molestia sia finalizzata all'esercizio di una propria pretesa ragione, allorché ciò avvenga con modalità arroganti, impertinenti o vessatorie.
Reato di ingiuria – elemento oggettivo – relazione alla personalità dell'offeso – espressioni oggettivamente ingiuriose
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Sebbene, al fine di accertare se sia stato leso il bene protetto dall’art. 594 c.p. (l'onore), occorra di regola fare riferimento ad un criterio di media convenzionale in rapporto alla personalità dell’offeso e dell’offensore nonché al contesto nel quale la frase ingiuriosa sia stata pronunciata, esistono limiti invalicabili, posti dall’art. 2 Cost. a tutela della dignità umana, di guisa che alcune modalità espressive sono oggettivamente, per la loro intrinseca carica di disprezzo e/o per la riconoscibile volontà di umiliare il destinatario, da considerarsi offensive e quindi inaccettabili in qualsiasi contesto vengano pronunciate, tranne che siano riconoscibilmente utilizzate “ioci causa”.
Nel caso in ispecie gli imputati adoperavano ai danni della parte offesa espressioni quali “coglioni e poco di buono” proferendole con veemenza polemica a chiara indicazione del disprezzo delle qualità morali e intellettive della po, a mortificazione dell'onore e della personalità interiore.
Violazione degli obblighi di assistenza familiare – omesso mantenimento – requisiti – no necessaria correlazione con assegno fissato dal giudice con separazione
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Per la configurabilità del reato ex 570 n 2) deve positivamente dimostrarsi la sussistenza, in concreto, del duplice requisito dello stato di bisogno dell’avente diritto e della capacità economica dell’obbligato di fornire al primo i mezzi indispensabili per vivere. Non c’è invece alcuna correlazione tra i mezzi di sussistenza e l’assegno di mantenimento fissato dal giudice civile in sede di separazione, la cui mancata o minore corresponsione non basta a dimostrare di per sè la responsabilità penale. L’eventualità dell’incapienza patrimoniale dell’imputato che sia stata solo genericamente protestata alla controparte per verosimili fini strumentali ed elusivi non determina il venir meno del reato perché, avendo essa natura di causa di giustificazione, deve essere provata rigorosamente, con onere a carico dell’obbligato.
Art. 570 c.p. – elemento materiale del reato – differenza tra omesso versamento dell’assegno di mantenimento e mancanza dei mezzi di sussistenza dell’avente diritto
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In tema di omessa prestazione dei mezzi di sussistenza ex art. 570 c.p. il Giudice è svincolato rispetto alle statuizioni assunte in sede civile circa l’importo dell’assegno di mantenimento da versare in favore degli aventi diritto. Conseguentemente, considerato che la nozione di “mezzi di sussistenza” va tenuta distinta da quella civilista di “alimenti” e che il reato di cui all’art. 570 c.p. non riveste carattere sanzionatorio rispetto all’inadempimento dell’obbligo stabilito in sede civile, per la configurabilità del reato deve positivamente dimostrarsi la sussistenza, in concreto, del duplice requisito dello stato di bisogno dell’avente diritto e della capacità economica dell’obbligato di fornire al primo i mezzi indispensabili per vivere.
Impiego di minori nell’accattonaggio ex art. 600 octies c.p.- configurabilità
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Nel recepire l’interpretazione della Corte di Cassazione, il Tribunale di Novara ha ritenuto configurabile il reato di cui all’art. 600 octies c.p. qualora la madre tenga con se la figlia nell’atto di accattonaggio poiché la minore, di anni 5, ben recepiva gli stimoli negativi dell’attività in cui veniva coinvolta.
La presenza della minore, inoltre, favoriva la madre rendendo più proficua la mendicità.
Violenza privata – elementi costitutivi – lite fra vicini di casa senza costrizione illegittima - insussistenza
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La coscienza e volontà di costringere taluno, mediante violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa con la consapevolezza dell'illegittimità di tale costrizione, rappresentano gli elementi costitutivi della violenza privata (art. 610 c.p.). (Nel caso di specie, la condotta dell’imputato, il quale parcheggiava la sua autovettura nel cortile comune senza effettivamente impedire l’accesso al denunciante, è stata ritenuta legittima, stante il diritto dei proprietari all’uso del cortile comune senza specifiche limitazioni che non fosse il ragionevole godimento reciproco del bene; potendosi al più ricondurre la vicenda in ambito meramente civilistico in ordine alle modalità di utilizzo della cosa comune).
Lesioni personali aggravate – mancanza di prova dell’aggravante – remissione querela - improcedibilità
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In tema di lesioni personali aggravate dall’utilizzo di uno strumento contundente (nel caso di specie una mazzetta da carpentiere), il solo ritrovamento di un simile arnese sulla macchina degli imputati è circostanza in sé insufficiente in mancanza di una dettagliata e specifica ricostruzione della dinamica dell’occorso, sicché, esclusa l’aggravante, l’intervenuta remissione della querela con contestuale accettazione degli imputati comporta il loro proscioglimento per improcedibilità dell’azione penale.
Favoreggiamento della prostituzione – evento come aiuto alla attività di prostituzione – contratto di locazione per la prostituta – esclusione dell’agevolazione
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Ai fini dell’integrazione del reato di favoreggiamento della prostituzione – reato a forma libera - la condotta dell’agente deve essere legata all’evento, che non è la prostituzione bensì l’aiuto alla prostituzione, da un nesso penalmente rilevante. Occorre, infatti, sempre distinguere la persona della prostituta e le sue esigenze personali da quella che è l’attività di prostituzione. Non è, perciò, sufficiente il solo consentire (tramite una condotta di intermediazione volta a mettere in contatto le prostitute con il titolare dell’alloggio), pur ricevendo un modesto riconoscimento economico, che le donne (prive di una regolare busta paga ed impossibilitate a stipulare un contratto di locazione) realizzino il proprio diritto all’abitazione, rimanendo in sé irrilevante anche la conoscenza che nell’alloggio sarebbe stata esercitata la prostituzione. (Nel caso di specie alcuna ulteriore e idonea condotta di agevolazione è stata posta in essere dall’imputato, il quale è stato mandato assolto per non aver commesso il fatto).
Violenza sessuale di gruppo – reato autonomo – contributo causale del compartecipe – presenza in loco – differenza dal concorso nel reato di violenza sessuale – sufficiente il mero accordo
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Ai fini della configurabilità della fattispecie autonoma di reato di cui all’art. 609 octies c.p. (reato necessariamente plurisoggettivo proprio) non è richiesto che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale alla commissione del reato, neppure essendo necessario che i componenti assistano al compimento degli atti di violenza sessuale, essendo sufficiente la loro presenza nel luogo e al momento in cui tali atti vengano compiuti anche da uno solo dei correi, atteso che la determinazione di quest’ultimo viene rafforzata dalla consapevolezza della presenza del gruppo. Proprio tale presenza distingue la commissione di atti di violenza di gruppo dal concorso di persone nel reato di cui all’art. 609 bis c.p.: per la configurabilità del primo reato non è sufficiente l’accordo delle volontà dei partecipi al delitto, ma è necessaria la simultanea ed effettiva presenza dei correi nel luogo e nel momento della consumazione dell’azione criminosa. (Nel caso di specie, la vittima veniva palpeggiata sul seno e in generale sul corpo, denudata ed invitata da due degli aggressori a calmarsi e non opporsi agli atti sessuali, e poi dall’imputato veniva toccata in mezzo alla gambe priva delle mutande.)
Resistenza a pubblico ufficiale – elementi della condotta aggressiva e violenta
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Configura il reato di resistenza a pubblico ufficiale un atteggiamento aggressivo e privo di autocontrollo, vieppiù a causa di uno stato di esaltazione alcolica, posto in essere dall’imputato a fronte dei tentativi degli operanti volti a ricondurlo alla calma, aggravatosi in una persistente violenza contro questi ultimi al fine di non consentirne la regolare attività di istituto volta ad identificarlo, a proteggere l’integrità della macchina di servizio e a prevenire reati e rischi per l’altrui incolumità. (Nel caso di specie l’imputato perdeva il controllo di sé e si opponeva all’attività di istituto con lievi pugni e reiterate minacce verbali e materiali, consistite in un tentativo di danneggiamento dell’auto di servizio).
Accertamento della pericolosità sociale ex art. 203 c.p. Elementi rilevanti per il giudizio. Emergenze di natura medico psichiatrica e parametri indicati dall’art. 133 c.p..
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La pericolosità sociale ex art. 203 c.p. va desunta dagli elementi di cui all’art. 133 c.p. e la relativa valutazione, quale compito specifico ed esclusivo del Giudice, non può limitarsi all’esame delle sole emergenze di natura medico-psichiatrica, posto che i dati relativi alle condizioni mentali dell’indagato e relative implicazioni comportamentali costituiscono una delle circostanze rilevanti ai fini del giudizio, al pari della gravità del reato e di ogni altro parametro previsto dalla norma citata.
Maltrattamenti in famiglia - Valutazione della credibilità soggettiva della persona offesa e dell’attendibilità estrinseca delle sue dichiarazioni.
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Le dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile, per poter essere assunte da sole a fondamento della responsabilità penale dell’imputato, devono essere sottoposte dal Giudice ad un controllo capillare di credibilità soggettiva ed oggettiva più penetrante e rigoroso rispetto a quello richiesto per le dichiarazioni di un altro teste, essendo la persona offesa portatrice di un astratto interesse a rendere dichiarazioni etero accusatorie, in particolare se costituita parte civile.
Tale controllo rafforzato sull’attendibilità della persona offesa è motivato dalla necessità di bilanciare l’interesse privatistico perseguito dalla parte civile, con quello pubblicistico di accertamento della responsabilità penale dell’imputato; l’attendibilità della parte civile, dunque, non può prescindere dalla sussistenza di riscontri oggettivi esterni.
Difetta, pertanto, la credibilità della persona offesa costituita parte civile se nel corso dell’istruttoria le dichiarazioni dei testimoni si sono dimostrate attendibili, analitiche e prive di contraddizioni, e hanno fornito una diversa ricostruzione dei fatti.