L'editoriale del vecchio penalista

Editoriale del vecchio penalista.

Populismo e giustizia
 
Nella comune accezione, e prescindendo da esperienze storiche esaurite, si può intendere per populismo la volontà delle forze di governo di un paese di accedere alla volontà popolare indipendentemente da una valutazione di merito tecnico e di spessore etico.
Il confine fra populismo e demagogia è invero assai labile, certo ai nostri giorni e nel nostro Paese è proprio la volontà demagogica a prevalere.
Da ciò deriva che applicare pulsioni demagogiche ad una materia quale la giustizia può produrre effetti tanto negativi da creare vera ingiustizia.
La storia dell’uomo è costellata da ingiustizie realizzate per compiacere le masse (il popolo!); basterà citare l’esempio più famoso: quello di un giovane nazareno, del tutto innocente, torturato ed ucciso per volontà di una folla urlante e la compiacenza di governanti protervi ed imbelli.
Se la nostra analisi è corretta essa si scontra con il disposto dell’art. 125 n° 2 C.P.P. e dell’art. 101 della Costituzione?
Queste norme rispettivamente recitano:
La sentenza è pronunciata nel nome del popolo italiano”.
La giustizia è amministrata nel nome del popolo italiano”.
Non v’è contraddizione: questi precetti stanno a significare che non vi sono altri soggetti, fuorché il popolo, destinatari delle norme e che il giudice, voce dello Stato, ad altri non risponde se non allo stato stesso e alla legge.
D’altra parte questo principio è espressamente sancito dalla seconda parte dell’art. 101 della Costituzione che recita: “I giudici sono soggetti solo alla legge”.
Dunque la sentenza è “giusta” non quando riscontra i desideri popolari ma quando razionalmente e puntualmente applica la legge.
Far coincidere quanto è atteso e preteso dal popolo e quanto disposto dalla legge è sforzo culturale di lunga lena e nel nostro Paese decisamente urgente.
Bisognerà spiegare e far capire che il Giudice non fa giustizia, come taluno invoca, il Giudice applica la legge!
Altro principio di straordinaria importanza è quello contenuto nell’art. 3 della Costituzione che recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge...”, ovvero la legge è uguale per tutti.
Questo principio di grande civiltà e valore etico non è stato ancora compiutamente metabolizzato dalla collettività e dovrà dunque ancora essere illustrato ed insegnato.
Il nostro assunto è confortato da osservazioni e statistiche; ancora oggi il cittadino indagato in sede penale, spesso protestando la propria innocenza, deplora la norma che lo riguarda, salvo ritenerla troppo blanda e corriva quando esso cittadino è parte offesa da un reato.
Attesa la latitanza delle forze politiche, lo sforzo di inculcare principi giuridici democratici e conformi alla nostra ottima Costituzione può essere assunto dalla magistratura (soprattutto in sede giurisdizionale) e dall’avvocatura con il proprio agire e insegnamento.

* * * * *

Le forze politiche, i partiti politici rincorrono spesso, con maggiore o minore intensità, la velleità popolari del momento.
Un esempio dei nostri giorni: la pretesa di creare una figura di delitto definita “omicidio stradale”.
Siamo alla compiuta irragionevolezza giuridica; il nostro ordinamento prevede ben tre fattispecie d’omicidio: volontario, colposo, preterintenzionale.
E’ evidente che la morte di una o più persone per conseguenza di sinistro stradale può essere agevolmente incasellata in una delle fattispecie teoriche esistenti!
E soltanto il Giudice potrà stabilire se v’è stato dolo (e quale dolo) o colpa.
Se si ritiene che l’omicidio conseguente a sinistro stradale meriti un trattamento sanzionatorio severo ben si potrà operare sulla pena base o sul sistema delle circostanze.
Il vigente art. 589 C.P. recita: “Chiunque cagioni per colpa (43) la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni. Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da: 1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni; 2) soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotropi che. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni (582) di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici”.
Com’è facile constatare l’”omicidio stradale” già esiste in diritto positivo: che altro si vuole?
La proterva volontà plebea talora si scatena in presenza di fatti con significativo impatto mediatico.
Terreno fertile è quello di alcuni reati contro la Pubblica Amministrazione: si tratta di concussione e corruzione.
L’art. 317 C.P. – concussione -, prevede la reclusione da sei a dodici anni che possono essere ancora aumentati in presenza di circostanze aggravanti; l’art. 319 C.P. – corruzione -, ha come sanzione la reclusione da 4 ad otto anni, con possibilità di aumento per aggravanti.
Come si vede le pene sono già molto severe e la volontà popolare, per quanto comprensibile, deve essere diversamente indirizzata: sollecita individuazione dei colpevoli, processi tempestivi, pena certa.
Tutto ciò che attualmente manca al sistema.

* * * * *

Altro terreno sul quale si sfoga frequentemente una inaccettabile volontà popolare è quello dell’indegna censura delle decisioni (sentenze) dei Giudici.
Se una parte d’opinione pubblica è convinta della colpevolezza di un imputato che i giudici, invece, assolvono, scatta un’indignata protesta del tutto priva di fondamento:
- la folla urlante non conosce gli atti processuali;
- come s’è visto il Giudice non fa giustizia, applica soltanto le leggi;
- se le leggi non sono condivise, vi sono gli strumenti democratici per cambiarle.
Come s’è detto le forze politiche, invece che respingere codeste pretese, le assecondano ed ecco la demagogia in azione!
Eppure la storia recente avrebbe dovuto fornire un’indelebile insegnamento: nella Germania nazista reato era ciò che il popolo riteneva deprecabile.
Auctoritas non veritas facit legem!!!
 
16 Maggio 2015
 

Pagina precedente